Meno reati, ma più violenti. E commessi da ragazzi sempre più giovani. È il quadro che emerge dal rapporto “Le traiettorie della devianza giovanile” scritto dal centro di ricerca dell’Università Cattolica Transcrime. Un lavoro realizzato in collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità e basato sull’analisi dei dati dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Milano. Ma non solo: i ricercatori di Transcrime hanno analizzato un campione di cento ragazzi presi in carico dall’Usmm di Milano nei bienni 2015-2016 e 2022-2023 per cercare di capire come è cambiato il fenomeno della delinquenza giovanile.

Il confronto tra i due periodi temporali permette di evidenziare due fenomeni. Il numero dei reati commessi non è in aumento. Ma al contrario cresce la violenza. Le statistiche ufficiali citate nel report sottolineano l’aumento di rapine e lesioni personali, mentre scippi o spaccio sono in diminuzione. Un cambiamento qualitativo, non quantitativo, che incide sulla percezione dell’insicurezza in città. “Gli episodi di devianza giovanile ci fanno credere a un aumento dei casi – spiega il professor Ernesto Savona, direttore di Transcrime – ma i dati ufficiali raccontano un problema diverso: ad aumentare non sono i numeri, ma la violenza allarmante dei comportamenti”.

Ma c’è un altro fenomeno evidenziato nel report. L’età media di chi commette il primo reato è in forte diminuzione. Nel campione di ragazzi del biennio 2022-2023, più della metà dei “primi reati” è stata commessa prima dei 15 anni (52%), mentre nel 2015-2016 questa percentuale era ferma al 32%. E l’età media degli autori del primo reato è passata dai 16,1 anni del biennio 2015-2016 ai 15,6 anni di oggi.

Una tendenza che non può essere ricondotta a un’unica causa. Sono tanti i fattori di rischio che hanno prodotto questo cambio qualitativo della delinquenza giovanile. Tra questi non ci sarebbe però la condizione socio economica delle famiglie. Secondo lo studio nel biennio 2022-2023, il 72% dei ragazzi non risulta essere in condizioni di disagio economico. Che cosa ha inciso sull’aumento della violenza tra i giovani? Una delle chiavi interpretative va ricercata in quella che il rapporto definisce “l’immaturità relazionale ed emotiva” delle nuove generazioni. Un elemento di rischio che come hanno evidenziato diversi altri studi aumenterebbe “la probabilità di manifestare disturbi della condotta (mancanza di empatia e autocontrollo) e di avere comportamenti antisociali”. La violenza diventa così “espressione di una forma di disagio”.

L’altro fattore di rischio è rappresentato dall’aumento di problemi legati alla dipendenza o all’uso regolare di sostanze che è passato dal 42 per cento del biennio 2015-2016 al 62 del 2022-2023. E poi c’è la questione familiare. Nei campioni analizzati, il 71% degli autori di reati vive con un solo genitore al momento della presa in carico. E quando si è cresciuti in contesti dove solo la madre (o la compagna del padre) è lavoratrice, l’età media diminuisce a 15,2 anni (rispetto ai 15,6).

“Lo studio esplorativo che abbiamo svolto sull’universo minorile è denso di significati e spunti predittivi – commenta Antonio Sangermano, capo dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità – certamente utili per individuare e prevenire i momenti di frattura individuale e relazionale che possono spingere un giovane al reato”. Una prospettiva condivisa anche dalla presidente del Tribunale per i minorenni di Milano Maria Carla Gatto: “I comportamenti di crescente violenza che contraddistinguono la devianza minorile dovrebbero indurci ad investire in maniera strutturata sulla prevenzione del disagio dei ragazzi e degli adolescenti, garantendo maggiori risorse e migliore coordinamento ai servizi sociali e a quelli psicologici e sanitari al fine di intercettare in tempo utile i segnali di malessere”.

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